Anche se Italia non si può ancora parlare propriamente di un vero e proprio ecosistema dedicato alle startup negli ultimi anni si sono aperte molte opportunità in questo ambito e si vanno man mano delineando scenari di investimento sempre più interessanti.

INTERVIEW GIUSTI

Oggi ci presenta questo argomento molto interessante Alberto Giusti, un business angel con molta esperienza nel mondo degli investimenti dedicati alle startup in ambito Tech. Alberto Giusti, attualmente collabora con società profit e organizzazioni non profit italiane e estere occupandosi di business modelling online e piani strategici di sviluppo Digital.

È uno dei fondatori del movimento Digital Building Blocks per la trasformazione digitale dei manager italiani nonché autore di diversi libri su queste tematiche.

Come nasce la sua esperienza?

Avevo già un’azienda da neolaureato, una software house che lavorava non per i clienti che lavoravano di più ma che avevano più potenziale, quindi mi facevo pagare la parte di costi in denaro per pagare i costi e la parte di margine in quote delle attività, poi ho fatto una serie di exit che sono andate bene e da lì ho cambiato vita. Ho capito che se l’obbiettivo era creare denaro il modo migliore non era essere pagati sempre di più per il proprio tempo ma era creare qualcosa di valore e ciò che vale di più sono sicuramente le aziende.

Quali sono i passi che deve fare oggi chi ha un'idea tecnologica e vuole dare vita ad una startup?

I primi passi da fare sono validare problem, solution, fit, chiunque abbia un’idea, spesse volte, ha un’idea in funzione di una soluzione che ha pensato, la verità è che si parte da un problema da risolvere e si dice in questo ambito che “solo chi ha una forte competenza sul problema può arrivare a una soluzione”.

Normalmente se l’obiettivo è risolvere un dato problema chi ha competenza su quel problema è quindi più open-mind per cercare la soluzione migliore e non la prima soluzione che ha pensato.

L’approccio corretto per una startup è di una validazione sperimentale, facendo dunque dei test, non semplicemente facendo delle interviste (ossia customer Discovery) ma dei veri esperimenti sul mercato per capire che la soluzione che ho in mente effettivamente va a risolvere il dato problema e segue delle metriche di sostenibilità, così si farà in modo che gli investitori possano intercettare la soluzione e dare dei soldi per essa.

Quanto pesa oggi l'idea o il team, cos'è più importante? È sufficiente una buona idea?

In gergo si dice che “l’idea pesa relativamente poco” ma io preferisco dire che l’idea è un moltiplicatore dell’esecution, mi spiego, con esecution scarsa o mediocre non si arriva ad un risultato sostenibile neanche se la moltiplichi per il valore dell’idea. Se ho un’esecuzione buona moltiplicata con un buon valore dell’idea arrivo a creare il valore, il tema è dunque l’esecuzione e l’esecuzione la fa il team, il team dev’essere completo. Tra i membri del team ci devono essere persone che coprono gli aspetti necessari per eseguire l’idea perché all’inizio devono occuparsene per forza loro. La frequenza degli esperimenti si riesce ad ottenere solo se l’esecution è internalizzata. Anche per il fatto che la frequenza degli esperimenti dovrebbe essere settimanale (almeno un test a settimana) almeno per 12 settimane che porta a scandagliare sufficientemente il dominio del problem-solution-fit.

Un team completo con 12 esperimenti, 3 mesi, lavorandoci assiduamente, otterrà ogni settimana una competenza sufficientemente elevata per capire se quella soluzione è quella con cui andare avanti.

Perché molte startup non decollano? Quali sono i potenziali errori da evitare?

Perchè sono una soluzione alla ricerca di un problema. C’è qualcuno che ha avuto un’idea ma non risponde ad un problema.

Se avessero fatto esperimenti avrebbero avuto nelle 12 settimane dei feedback adeguati per trovare la soluzione corretta al problema, solitamente una startup in 14 volte trova una soluzione ideale.

Quali suggerimenti vuole dare a chi vuole sviluppare un'idea?

Studiare, c’è molta letteratura in merito è bene cercare le basi per evitare di fare gli errori che hanno fatto gli altri.

Che tipo di tecnologie sono più richieste dagli investitori?

L’approccio è quali sono le giuste soluzioni ai giusti problemi, se ci si innamora semplicemente delle tecnologie si riparte a cercare una soluzione senza focalizzarsi sui problemi. Il 46% delle startup muore perché sono una soluzione alla ricerca di un problema. Quindi bisogna intercettare qualcuno che ha una forte compentenza sul problema “almeno 5 anni” per arrivare ad aver ipotizzato una soluzione ed avere un approccio scientifico alla validazione.

Con l’approccio scientifico prima o poi troviamo la soluzione giusta.

E la cyber security che spazio ha nel mondo degli angel investor?

Il panorama è “esiste il problema ma non c’è consapevolezza evidente del problema” e quindi ci sono pochi attori che comprano soluzioni, normalmente sono coloro che sono incappati nel problema per cause di forza maggiore, quindi è un mercato che ha ancora molto potenziale inespresso. L’entità dei problemi però genera molte aspettative e preoccupazioni per il futuro ma non è ancora compreso nel mondo retail o b2c. Il mondo della cyber security evolverà sicuramente poichè l’entità dei problemi che genera la mancanza di sicurezza è elevata.

Quando parliamo ad esempio di IoT si aprono problemi in ambito di sicurezza anche se non c’è ancora una vera consapevolezza. Esistono ancora pochi modelli di business valdiati in questo ambito, anche perchè ci sono ancora delle barriere culturali che fanno sì che l’evoluzione di soluzioni in questi ambiti non siano ancora compresi e accettati, spesso dalle stesse persone coinvolte nel business e non solo i clienti.

Quale sarà il futuro delle startup tecnologiche italiane?

Ci sarà sicuro una prosperità in virtù del fatto che non esiste propriamente ancora un ecosistema, le startup italiane sono potenzialmente territorio di caccia per gli investitori che cercano “diamanti” che altri non hanno notato. Il mondo venture è interessato a intercettare startup in paesi non consolidati con l’ecosistema e dove si possono cogliere opportunità diverse rispetto agli altri mercati perché la conoscenza è diversamente distribuita, ci sono startupper magari chiusi in cantina che poi quando hanno validato vanno direttamente nei canali internazionali, ciò significa che se qualcuno in Italia diventa una sorta di antenna e intercetta la soluzione giusta ci sono opportunità.

Le start up italiane, potenzialmente, hanno un territorio inespresso sia di crescita che opportunità, quello che manca ancora è l’ecosistema locale.

La vera opportunità sta nel partire dalle corporate, le grandi aziende, che devono acquisire e investire nelle start up, anche se è un discorso ancora non del tutto compreso in Italia.

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